Il direttore di Libero si era schierato contro i magistrati per il divieto sulla parola “clandestino” ma ora non vuole arrendersi.
Negli ultimi giorni l’Italia ha visto nascere una nuova battaglia: quella fra Vittorio Feltri e la magistratura, colpevole – secondo il diretto di Libero – di aver vietato l’utilizzo della parola “clandestino“. Lunedì 21 agosto il giornalista aveva scritto un tweet polemico che recitava: “Per la prima volta in 60 anni di professione giornalistica sono stato censurato, ed è accaduto nel giornale che ho fondato, Libero. Non so perché. Nessuno mi ha dato spiegazioni. Suppongo perché ho definito invasori gli emigranti, esattamente come ha fatto il Giornale oggi“.
Ieri, quell’articolo è stato infine pubblicato e la domanda sorge spontanea: cosa contiene di tanto destabilizzante? Feltri ha criticato la Cassazione per il veto sulla parola “clandestino“, scrivendo che “dobbiamo rassegnarci alla sconfitta. La guerra al vocabolario l’abbiamo persa, hanno vinto i bulli del politicamente corretto“.
Vietato dire clandestino: “Ecco che termine utilizzerò”
“Clandestino“, perciò, è un termine inutilizzabile: “Questo perché gli immigrati meritano rispetto – commenta ironicamente Feltri -. Va bene, io allora li definirò ‘invasori’ visto che arrivano in Italia a migliaia“.
Se salvare le persone in difficoltà viene visto come un obbligo, argomenta il direttore di Libero, per quale motivo non “dovremmo garantire pure ai nostri clochard, più di 50mila, una ospitalità tale da assicurare un tetto sostitutivo ai cartoni sui quali essi, loro malgrado, trascorrono la notte oltre che il giorno. Niente da fare, due pesi e due misure“.